LE DONNE E L'ARTE

LE DONNE E L’ARTE
a cura del 4FL 
con la collaborazione della Prof.ssa Sara D'eliseo


EDONISMO ARTISTICO CON MARINA ABRAMOVIC
Edit :Valerio Di Luzio


‘’Il Corpo è il materiale dove le cose accadono’’


Questa frase descrive Marina Abramovic, artista coraggiosa e anticonvenzionale. Nasce
a Belgrado in Serbia nel 1946 ed esordisce come artista negli anni ‘70 attraverso la Performance Art che si basa sulla fisicità. Il Performance artist, in primis la Abramovic, giunge ai limiti estremi di sopportazione a discapito del proprio corpo, che diventa il mezzo per portare l’attenzione del pubblico su tematiche culturali, politiche e sociali denunciandole. In questo modo il corpo diviene un’opera d’arte immortale e sempre attuale. La nudità e crudezza dell’Abramovic hanno rivoluzionato l’idea di performance. Il suo percorso artistico è concatenato a quello del vissuto. Le prime performance, che risalgono ai primi anni ‘70, sono permeate di una voglia di libertà in seguito ad una educazione troppo rigida. Successivamente sperimenta una fase etica e ontologia, sempre negli anni ‘70, dove si mise a totale disposizione del pubblico osservandone gli aspetti primitivi e selvaggi, rischiando di morire. Negli stessi anni incontra Ulay con cui avrà una relazione sentimentale che segnerà profondamente le performance di questo periodo fino alla loro separazione dove percorsero 2500 km a piedi lungo la muraglia cinese per incontrarsi a metà e dirsi addio perché quando l’amore finisce nonostante il lungo percorso non si può far finta di niente e rimanere insieme. Fra le performance più famose c’è: "The artist is present" rappresentata nel 2010 al MoMa di N.Y, dove nell’arco di 3 mesi 1675 persone si alternano davanti a lei, fissa, muta e immobile mettendo al centro una comunicazione tra artista e pubblico come afferma lei stessa nella sua biografia:’’Io ero lì per tutti quelli che erano lì. Le persone mi aprivano il cuore e in cambio, ogni volta, aprivo il mio. Nel mio cuore, la sofferenza dell’amore puro, ero molto più grande. Ed era la sensazione più incredibile che avessi mai avuto. Non so se questa è arte dissi a me stessa. Avevo sempre pensato che l’arte fosse qualcosa di espresso mediante determinati media: pittura, scultura, fotografia, cinema, musica. E si anche performance. Ma questa performance andava oltre la performance. Questa era la vita. Può essere l’arte isolata dalla vita? Devo esserlo? Cominciai ad essere sempre più convinta che l’arte deve essere vita, deve appartenere a tutti.’Nel momento in cui Marina e Ulay si vedono in questa performance, l’uomo e l’artista si identificano quando allungano le mani l’un l’altro con le lacrime agli occhi. Un’altra performance famosa è quella del’’Balkan Baroque’’, premiata alla biennale di Venezia del 1997, dove per 3 giorni su una montagna di carcasse di mucca pulisce le ossa dell’animale. Questa immagine è ricca di significati spirituali e universali, ossia pulire l’uomo dalle colpe di cui si sta macchiando: le troppe guerre che causano morte e fame, all’avidità del potere, alla misoginia e allo sfruttamento. Questa performance è rivolta al mondo occidentale che finge di essere cieco e di non accorgersi degli orrori davanti alla guerra della Jugoslavia, sebbene l’Abramovic affermi: ’’Quando ho fatto B.Baroque non pensavo solo alla Jugoslavia, era un’immagine valida per ogni guerra e paese’’.


Trovo che l’Abramovic riesca a rompere gli schemi artistici e sopra tutto tecnici attraverso le sue performance, che creano rabbia e scandalo; d’altronde che cosa è l’arte, se non scandalo?
Per mezzo dei suoi lavori, dove artista e persona coincidono, riesce ad essere lei stessa la sua opera più famosa. Si può notare inoltrre che nella sua performance al MoMa di N.Y del 2010 ’’The Artist Is The Present’’, ciascuna persona entri a far parte di quest’opera diventando l’artista stesso. Per tanto con l’Abramovic l’arte non è esclusiva né elitaria. Sopra tutto la sua volontà di denunciare soprusi e tematiche di vario genere, la sua finalità civile, mi spingono ad ammirare l’Abramovic.

L’ARTE E’ DONNA: FRIDA KAHLO di Clarissa La Forgia

Frida Kahlo è nata nel 1907 a Coyocàn, sobborgo di Città del Messico ed è stata una delle maggiori artiste donne nella prospettiva artistica, la si può anche definire un’artista ribelle e anticonformista.
La sua giovinezza purtroppo non è facilissima, poichè a soli 18 anni si trova nel bel mezzo di un incidente nel quale un tram si scontra con un autobus.
Molte persone muoiono sul colpo, mentre Frida riesce a salvarsi, ma riporta delle ferite molto gravi. Questo ha delle serie conseguenze nella sua vita, perchè è costretta a sottoporsi a 32 interventi chirurgici, a restare tre mesi in ospedale e inoltre a indossare per nove mesi diversi busti di gesso che la costringevano a rimanere a letto.
E’ proprio in questo periodo che Frida inizia a dipingere, facendo della sua immobilità un’opportunità. Infatti grazie ad un cavalletto, dei colori ad olio e uno specchio posto sul soffitto, così da vedere e utilizzare la sua immagine come modello, Frida inizia a lavorare sugli autoritratti.
C’è una frase riportata dall’artista stessa che rispecchia il significato dei suoi quadri: “DIPINGO ME STESSA PERCHE’ PASSO MOLTO TEMPO DA SOLA E SONO IL SOGGETTO CHE CONOSCO MEGLIO".
In seguito alla sua convalescenza inizia ad avvicinarsi all’ideologia comunista e ad affiancarla in questo periodo c’è la figura di Diego Rivera, suo futuro marito.
Quest’ultimo è stato un uomo di fondamentale importanza nella vita dell’artista, sebbene quest’amore non si sia dimostrato del tutto perfetto, poichè Frida era costretta continuamente a subire i tradimenti del marito che l’hanno portata ad allontanarsi da lui.
LE OPERE:
Autoritratto con vestito di velluto: quando ideò quest’opera, Frida aveva in mente i ritratti popolari ottocenteschi dipinti da J.M a Guadalajara.
Scelse di imitare una delle cose più ricorrenti di questi quadri, dove il personaggio ritratto appare col braccio leggermente piegato all’altezza del gomito e la mano che stringe un oggetto, che a seconda dei casi può essere: un ventaglio, un ramo fiorito, una penna, un libro etc. Tra tanti temi l’artista scelse intenzionalmente quella della madre col bambino.
Le due Frida: in questo caso si parla di un doppio autoritratto, in cui due Frida sedute una accanto all’altra si tengono per mano. Il cuore di entrambe è raffigurato sopra i vestiti.
La Frida di destra, che indossa un vestito tehuano, tiene nella mano sinistra un ritratto in miniatura di Diego Rivera da bambino, che collegato al cuore da un’arteria è rappresentato come fonte di vita. La causa della sua morte è rappresentata dalla Frida di sinistra che indossa un abito di pizzo bianco ricamato e tiene nella mano destra una forbice chirurgica per arrestare la fuoriuscita di sangue. Con quest’opera l’artista narra visivamente l’esperienza non oggettiva della sue sofferenza emotiva .

Di volti femminili nel panorama artistico ce ne sono molti, ma ho deciso di scegliere proprio Frida Kahlo perchè mi ha colpita molto la storia della sua adolescenza. Ho ammirato molto la sua determinazione, il suo coraggio e la sua forza, che l’hanno portata a non arrendersi mai.
Inoltre ho sempre pensato che i suoi quadri fossero molto interessanti ed è proprio per questo che ho deciso di conoscerne il vero significato.

ARTEMISIA GENTILESCHI di Benedetta Pascolini
Artemisia Gentileschi nasce a Roma nel 1593. Il padre, Orazio Gentileschi, era un pittore che raggiunse la sua più alta espressività artistica grazie alle innovazioni di Caravaggio.
Quando da piccola, Artemisia perse la madre si avvicinò alla pittura, stimolata dal talento del padre. Egli, infatti, le insegnò come preparare i materiali per i dipinti, aiutandola a perfezionare le proprie doti artistiche. Come il padre, anche Artemisia venne molto stimolata dalla pittura di Caravaggio; al punto che secondo alcuni critici è stata ipotizzata una frequentazione tra i due. Altri invece smentiscono quest’ipotesi facendo riferimento al fatto che Artemisia fosse soggetta a severe restrizioni paterne.
Fu nel 1610 che Artemisia Gentileschi creando una tela chiamata “Susanna e i Vecchioni” fece il suo ingresso nel mondo dell’arte.
Nel 1611 il padre Orazio decise di affidarla alla guida di un talentuoso pittore di nome Agostino Tassi che, pur avendo dei trascorsi burrascosi, aveva la stima e la fiducia di Orazio. Tuttavia un giorno Agostino Tassi, approfittando dell’assenza di Orazio, violentò Artemisia. Ella non ebbe via d’uscita e non poté nemmeno contare sull’aiuto di Tuzia, una vicina che usava accudirla.
Dopo la violenza Tassi promise ad Artemisia di sposarla in un matrimonio riparatore che all’epoca dava la possibilità di estinguere il reato di violenza sessuale.
Artemisia, a quel punto, cedette alle sue lusinghe attendendo un matrimonio che non si sarebbe mai compiuto. Infatti quando Artemisia e il padre Orazio, che era a conoscenza dall’inizio della situazione, scoprirono che il pittore Agostino Tassi fosse già sposato, lo denunciarono al papa Paolo V. Da questa querela ebbe inizio un processo secondo il quale Artemisia venne sottoposta ad esami e visite ginecologiche lunghe ed umilianti. Fu nel 1612 che agostino Tassi venne condannato dalle autorità.
Immediatamente dopo l’esito del processo Artemisia dipinse una tela chiamata “Giuditta che decapita Oloferne”. Proprio per la vicinanza cronologica dei due fatti si pensa che la tela sia stata dipinta da Artemisia spinta da un senso di rivalsa dopo la violenza subita.
La tela raffigura la scena della decapitazione di Oloferne rispetto al momento della fuga delle due donne. (episodio poi raffigurato nella tela “Giuditta con la sua ancella”)
L’episodio venne considerato difficile da riportare dai critici, ma la bravura di Artemisia nel raffigurare lo sforzo umano lo rese molto realistico.
Una seconda tela, riconducibile anche a quest’ultima, è la tela chiamata “Giuditta e la sua ancella”. Essa mostra l’istante in cui Giuditta e la sua ancella Abra stanno per uscire dalla tenda di Oloferne con la paura di essere scoperte. L’immagine le ritrae circondate da un’ombra ed illuminate solo grazie ad una candela. L’ancella porta dentro un cesto la testa decapitata di Oloferne, mentre Giuditta tiene ancora in mano la spada con la quale ha compiuto la sua vendetta. Questa tela è definita una delle migliori realizzate da Artemisia per la minuziosa attenzione ai dettagli: un esempio è la tensione presente sul volto di Giuditta che, accompagnata da una ciocca di capelli sfuggita dall’acconciatura, sta a sottolineare lo stato d’animo delle due donne.
Secondo alcuni critici questa tela nascondeva anche un altro significato, ossia si pensa che Artemisia abbia raffigurato accuratamente questa scena insieme alla sua ancella per sottolineare il fatto che precedentemente, a differenza di ciò che è raffigurato sulla tela, non era stata aiutata o soccorsa da nessuno, nemmeno da Tuzia, vicina in cui riponeva fiducia.
In generale, Artemisia Gentileschi venne considerata un ottimo esempio di “femminista” dato che, oltre al fatto che credesse e sperasse nella solidarietà tra donne, andò contro molti ostacoli ed impedimenti dell’epoca per perseguire la sua passione, ossia l’arte. Tant’è che venne molto spesso ostacolata sia dal padre, sia, in generale, dalla società dell’epoca dato che la pittura veniva considerata inizialmente un mestiere maschile.
Personalmente ho scelto Artemisia Gentileschi perché penso che molti temi trattati, in particolare quelli riguardanti i due quadri già accennati, siano riconducibili anche ai giorni d’oggi. Infatti mi è piaciuto il fatto che già intorno al 1600 fossero trattati dei temi che ad oggi sono importanti e che andrebbero ascoltati da tutti. Mi è piaciuto anche il fatto che il femminismo fosse riportato sotto forma di arte e in questo caso di pittura e che Artemisia stessa fosse riuscita all’epoca ad affermarsi come grande artista nonostante le difficoltà.


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