Recensione “Noi, ragazzi dello zoo di Berlino”

Recensione “Noi, ragazzi dello zoo di Berlino” a cura di Sumaoang Mika Wyneth Ragil 
Autore: Christiane Vera Felscherinow Titolo: Noi ragazzi dello zoo di Berlino
Wir Kinder Vom Bahnhof Zoo 
Data di pubblicazione: 1978 
Numero pagine: 344 
Genere: Romanzo, drammatico, biografico 
Berlino, anni sessanta, Christiane F. è costretta a trascorrere un’infanzia difficile e a subire le continue violenze, fisiche e psicologiche, da parte del padre, per via della sua frustrazione dovuta al suo fallimento professionale. La madre non interveniva in questi episodi per paura di essere picchiata a sua volta. In seguito, quando la protagonista aveva 10 anni, la madre divorziò dal violento marito e si trasferì a Gropiusstadt con il suo nuovo compagno, Klaus. La sorella di Christiane decise di andare a vivere con il padre che, a seguito del divorzio, si dimostrò una persona completamente nuova. Era, infatti, più affettuoso e non le picchiava più. Christiane non ebbe più alcun supporto familiare d’ora in poi. A scuola, invece, non riuscì a integrarsi tra i suoi coetanei. Grazie a Kessi (una sua amica) cominciò a frequentare un circolo di ragazzi suoi coetanei o più grandi, gestito dalla parrocchia e chiamato “ Hauss der mitte”, in cui lei comincerà ad avere le sue prime esperienze con la droga. A dodici anni cominciò a fumare hascisc, a prendere Lsd, efedrina e mandrax. Ben presto, queste droghe non le davano più lo stravolgimento che ricercava. I suoi amici facevano uso di droghe  (erano visti da lei come un mito e un idolo da seguire e imitare) e ben presto cominciarono a iniettarsi l’eroina: col tempo, lei stessa cominciò ad utilizzarla, sniffandola. Questo non le bastò più e, ormai dipendente dalla droga, cominciò a bucarsi. La madre la vedeva spesso in uno stato di euforia ed eccitazione, ma non avendo il coraggio di accettare che sua figlia fosse una drogata, ignorava questa sua condizione. La droga era difficile da reperire vista la sua condizione sociale ed economica e, così, cominciò ad imitare il suo ragazzo, Detlef, e le sue amiche, prostituendosi. Cominciò, dunque, a frequentare la metropolitana e la zona più malfamata di Berlino: il Banhof Zoo. Le sue esigenze man mano crebbero ed arrivò a bucarsi circa due-tre volte al giorno e, per reperire le dosi a lei necessarie, arrivò a prostituirsi per pochi franchi. Un giorno Christiane, chiusa nel bagno di casa sua per bucarsi, venne scoperta dalla madre, che iniziò ad avere una crisi di nervi dovuta a ciò che era successo alla figlia, ma, soprattutto, dovuta ad un profondo senso di rimorso per aver sempre trascurato la figlia. La ragazza tentò la via della disintossicazione, ma fu tutto inutile. La madre, allora, decise di portarla a vivere a casa della zia, lontano dalla città, luogo che ricordava il luogo in cui Christiane aveva passato la sua infanzia prima della sua permanenza a Berlino: un luogo idilliaco . Christiane iniziò una nuova vita, finalmente libera dalla droga. 
Christiane F. ha voluto questo libro perché, come quasi tutti i ragazzi bucomani, pretende che sia rotto il vergognoso silenzio degli adulti sulla realtà della tossicodipendenza. Un libro crudo e destabilizzante, per via dei minorenni e delle minorenni coinvolti e per le situazioni descritte dettagliatamente nel libro: le situazioni familiari disastrose, genitori completamente assenti o incapaci di gestire situazioni problematiche, genitori violenti e privi di autocontrollo, un mondo in cui vince <<chi picchia più forte>>. Questo libro aiuta a riflettere, a chiedersi perchè questi ragazzi scelgono questa strada che comincia con un ‘assaggio’, si protrae per assumere l’immagine di ‘figo’ e per seguire la massa e si conclude con una vita rovinata, buttata, distrutta. La protagonista vede morire tutti i suoi amici, uno ad uno, con la consapevolezza che lei non può far nulla a riguardo. 
La storia di una ragazza che vive sulla sua pelle la violenza, la droga, la prostituzione, il cui futuro l’aspetta solamente con la morte e il dolore, ma si protrae con lei che diventa una donna, che si rialza contro i suoi tormenti, i suoi incubi, la cui storia termina con la speranza, con lei che può continuare a sognare, a vivere. 
Un libro, in definitiva, per pensare, e non alla droga soltanto, prima ancora al senso della vita, ai giovani che vengono a questo mondo e sovente non riescono a stabilire un rapporto con il padre e con la propria madre, magari una città nascosta da cui si vorrebbe scappare ma che finisce per diventare il loro ghetto. Il ghetto della droga e, per vivere di droga, il ghetto del rubare, del prostituirsi, dello spaccio. Una via verso la galera e poi molto presto, verso la morte, quando ancora non si sa cosa sia la vita

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